Un recente studio condotto dall’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Icb) e pubblicato su Pharmacological Research ha scoperto che una componente non psicoattiva della cannabis meglio noto come CBD sarebbe in grado di contrastare il meccanismo che scatena la refrattarietà alle terapie ormonali nel tumore prostatico.
La ricerca ha infatti di dimostrato come nel corso della riprogrammazione metabolica delle cellule che avviene durante l’oncogenesi, ossia la fase di sviluppo del tumore e modificazione del metabolismo cellulare affinché supporti lo sviluppo del carcinoma, esista una vulnerabilità capace di essere sfruttata a favore delle terapie.
Tale fase di fragilità del tumore può dunque essere oggetto di trattamenti mirati a base di fitocannabinoidi, capaci di colpire la plasticità metabolica della neoplasia modulando la bioenergetica dei mitocondri cellulari.
Lo studio ha accertato come, nei modelli preclinici, il CBD già approvato dall’EMA per il trattamento delle convulsioni connesse all’epilessia infantile sia efficace anche per ridurre la crescita del tumore della prostata refrattario alle terapie ormonali.
Tale scoperta apre sicuramente la strada a studi futuri, nella speranza che i cannabinoidi non psicoattivi possano fungere da concreto supporto nella lotta al cancro della prostata.